In seguito alla lettura di quest’inchiesta di Repubblica,
(vedi link Condannati a consumare senza diritto di produrre) la prima reazione avuta è stata:
“Allora non è una mia sensazione! Non sono il solo in questa situazione!”
E invece no: “Non sono il solo!”

Eppure c’è un motivo se reagisco così.
Sinceramente parlando io non vedo, almeno tra le persone con cui vengo giornalmente in contatto una preoccupazione sincera per la condizione in cui versiamo.
Praticamente tutti hanno davanti agli occhi gli effetti di questa crisi globale, e in particolar modo le inefficienze del sistema produttivo italiano che rendono questo paese attualmente fermo dal punto di vista lavorativo. Eppure tra gli under 30, nessuno mi sembra sinceramente preoccupato! Perché? Per le famiglie!
Mi spiego meglio; siamo arrivati ad un punto in cui il vero
welfare del paese sono le famiglie. Sono queste infatti a fare da
ammortizzatori sociali per i propri figli disoccupati.
Hanno sostituito lo stato in questa funzione, non per
propria volontà ma per necessità.
Il sempre crescente numero di persone che non studiano e non
lavorano riesce a tirarsi fuori dalla classificazione di “poveri” grazie
all’intervento delle famiglie di cui fanno parte.
Vuoi per compassione, vuoi per
senso di colpa rispetto al mercato di lavoro lasciato, sono loro a tenere a galla questa nuova generazione apparentemente incapace di autofinanziarsi. E se da un lato i genitori aiutano, concedendo vitto,
alloggio e denaro ben oltre l’età della “maturità” ai propri figli, questi
vengono incontro alle mutate esigenze della famiglia, conducendo una vita ben
più modesta di quanto avessero preventivato.
Il problema vero è l’assuefazione a questo stato di cose!
Modificando i nostri atteggiamenti verso una politica di
risparmio che ci permetta da un lato di mantenere i nostri figli, dall’altro di
essere mantenuti dentro casa senza gravare eccessivamente sui bilanci
famigliari, si è però creata una sorta di tiro a ribasso rispetto alle
aspettative di vita.
Avviene allora che da un lato troviamo pensionati che
preferiscono non sperperare i propri risparmi e le proprie pensioni (faticosamente
ottenute) in viaggi organizzati, weekend all’aperto, nuovi arredamenti, cambi
di casa e tutte quegli sfizi che per troppo tempo hanno rimandato, perché
l’incertezza lavorativa dei propri figli suggerisce loro di mantenere un profilo più
basso e preventivo. E dall’altro troviamo un esercito di giovani che,
abbandonate le proprie aspirazioni, messe da parte le proprie ambizioni
lavorative, ridimensionate le occasioni di vita sociale, sono costretti a
condurre un tipo di vita che non sentono loro, in cui non si immedesimano, che
punta continuamente al ribasso. Ed è così che senza accorgersene si è passati
dalla frustrazione alla rassegnazione, dalla quale difficilmente si riuscirà ad
uscire!
L’altro problema è che molti di loro sembrano non essersi
ancora accorti del mutamento avvenuto. Da qui nasce la scarsa sensibilità a
questo tema da parte dei diretti interessati, noi giovani appunto.
Parte della colpa in questo frangente va data alle famiglie
a mio avviso. Si alle famiglie, le stesse che per spirito di compassione si
stanno dando da fare per sostenerci. Sicuramente già qualcuno starà
rinfacciandomi di essere un semplice ingrato, ne sono consapevole. Il fatto è
che tale aiuto, costante, presente e quasi sempre sicuro (almeno per famiglie
che non hanno particolari problemi economici) ha fatto si che ci adagiassimo
alla mutata situazione, senza avere la forza di ribellarci a tale sistema.
L’apatia totale che condividono molte delle persone con cui mi capita di
scambiare pareri a riguardo, è per me la conferma che si, qualcosa non ha
funzionato, ma che la sicurezza di un tetto sopra la testa e di un pasto sulla
tavola ha indotto noi giovani a non cercare di reagire per cambiare le carte in
tavola.
(Ammesso che non ci siano volontà specifiche a non cambiare le cose in queste aree, ma non è questo il tema che voglio affrontare ora..)
Così sta succedendo a noi: l’incapacità di auto-finanziarsi
e la necessità di dipendere dalla famiglia, sta lentamente soffocando ogni
impulso al cambiamento. L’istinto di sopravvivenza sembra essere in questa fase
predominante rispetto all’istinto di emancipazione.
E’ questo a mio avviso il pericolo più urgente da
affrontare.
Ben venga l’aiuto delle famiglie se finalizzato ad una
crescita professionale dei propri figli (vedi corsi di formazione, stage,
etc..) e non limitato ad una semplice stagnazione sotto il tetto famigliare in
attesa di “tempi migliori per cercare lavoro”.
Per quanto ci riguarda, e parlo in quanto facente parte
della nuova categoria dei “Neet”, l’unico slogan che continuo a ripetermi è: “Fai che il tuo desiderio di cambiamento sia
più forte del tuo desiderio di rimanere uguale”.
Fatelo vostro, se volete. E che ognuno ritrovi i propri stimoli al cambiamento!
L’importante è averne, altrimenti sarete già morti dentro..
Fatelo vostro, se volete. E che ognuno ritrovi i propri stimoli al cambiamento!
L’importante è averne, altrimenti sarete già morti dentro..
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