lunedì 15 ottobre 2012

Tenuti a galla per non affondare



In seguito alla lettura di quest’inchiesta di Repubblica,
(vedi link Condannati a consumare senza diritto di produrre) la prima reazione avuta è stata:
“Allora non è una mia sensazione! Non sono il solo in questa situazione!” 
Oltre lo sdegno e la quasi totale adesione al pensiero del sociologo, ho avuto una reazione abbastanza singolare! Mi sarei aspettato un commento del tipo: “Che schifo!” “Siamo ridotti male!” “Non c’è speranza!”
E invece no: “Non sono il solo!”
Sembra banale come commento, come dettato da una scarsa conoscenza della situazione attuale. Mi aspetterei a questo punto una replica del tipo: “Coglione apri un qualunque giornale e ti accorgerai che la situazione è ben più diffusa della tua singola esperienza!”
Eppure c’è un motivo se reagisco così.


Sinceramente parlando io non vedo, almeno tra le persone con cui vengo giornalmente in contatto una preoccupazione sincera per la condizione in cui versiamo.  
Praticamente tutti hanno davanti agli occhi gli effetti di questa crisi globale, e in particolar modo le inefficienze del sistema produttivo italiano che rendono questo paese attualmente fermo dal punto di vista lavorativo. Eppure tra gli under 30, nessuno mi sembra sinceramente preoccupato! Perché? Per le famiglie!
Mi spiego meglio; siamo arrivati ad un punto in cui il vero welfare del paese sono le famiglie. Sono queste infatti a fare da ammortizzatori sociali per i propri figli disoccupati.
Hanno sostituito lo stato in questa funzione, non per propria volontà ma per necessità.
Il sempre crescente numero di persone che non studiano e non lavorano riesce a tirarsi fuori dalla classificazione di “poveri” grazie all’intervento delle famiglie di cui fanno parte.
Vuoi per compassione, vuoi per senso di colpa rispetto al mercato di lavoro lasciato, sono loro a tenere a galla questa nuova generazione apparentemente incapace di autofinanziarsi. E se da un lato i genitori aiutano, concedendo vitto, alloggio e denaro ben oltre l’età della “maturità” ai propri figli, questi vengono incontro alle mutate esigenze della famiglia, conducendo una vita ben più modesta di quanto avessero preventivato.
Il problema vero è l’assuefazione a questo stato di cose!
Modificando i nostri atteggiamenti verso una politica di risparmio che ci permetta da un lato di mantenere i nostri figli, dall’altro di essere mantenuti dentro casa senza gravare eccessivamente sui bilanci famigliari, si è però creata una sorta di tiro a ribasso rispetto alle aspettative di vita.
Avviene allora che da un lato troviamo pensionati che preferiscono non sperperare i propri risparmi e le proprie pensioni (faticosamente ottenute) in viaggi organizzati, weekend all’aperto, nuovi arredamenti, cambi di casa e tutte quegli sfizi che per troppo tempo hanno rimandato, perché l’incertezza lavorativa dei propri figli suggerisce loro di mantenere un profilo più basso e preventivo. E dall’altro troviamo un esercito di giovani che, abbandonate le proprie aspirazioni, messe da parte le proprie ambizioni lavorative, ridimensionate le occasioni di vita sociale, sono costretti a condurre un tipo di vita che non sentono loro, in cui non si immedesimano, che punta continuamente al ribasso. Ed è così che senza accorgersene si è passati dalla frustrazione alla rassegnazione, dalla quale difficilmente si riuscirà ad uscire!
L’altro problema è che molti di loro sembrano non essersi ancora accorti del mutamento avvenuto. Da qui nasce la scarsa sensibilità a questo tema da parte dei diretti interessati, noi giovani appunto.
Parte della colpa in questo frangente va data alle famiglie a mio avviso. Si alle famiglie, le stesse che per spirito di compassione si stanno dando da fare per sostenerci. Sicuramente già qualcuno starà rinfacciandomi di essere un semplice ingrato, ne sono consapevole. Il fatto è che tale aiuto, costante, presente e quasi sempre sicuro (almeno per famiglie che non hanno particolari problemi economici) ha fatto si che ci adagiassimo alla mutata situazione, senza avere la forza di ribellarci a tale sistema. L’apatia totale che condividono molte delle persone con cui mi capita di scambiare pareri a riguardo, è per me la conferma che si, qualcosa non ha funzionato, ma che la sicurezza di un tetto sopra la testa e di un pasto sulla tavola ha indotto noi giovani a non cercare di reagire per cambiare le carte in tavola.
Un po’ come avviene per gli aiuti umanitari nelle zone più disagiate del pianeta. Tali aiuti, oltre ad essere discontinui, sporadici e puntualmente insufficienti, hanno fatto si che tale aree rimanessero vittime dell’assistenzialismo occidentale, precludendogli ogni possibilità di un vero sviluppo interno che le potesse rendere economicamente autosufficienti.
(Ammesso che non ci siano volontà specifiche a non cambiare le cose in queste aree, ma non è questo il tema che voglio affrontare ora..)
Così sta succedendo a noi: l’incapacità di auto-finanziarsi e la necessità di dipendere dalla famiglia, sta lentamente soffocando ogni impulso al cambiamento. L’istinto di sopravvivenza sembra essere in questa fase predominante rispetto all’istinto di emancipazione.
E’ questo a mio avviso il pericolo più urgente da affrontare.
Ben venga l’aiuto delle famiglie se finalizzato ad una crescita professionale dei propri figli (vedi corsi di formazione, stage, etc..) e non limitato ad una semplice stagnazione sotto il tetto famigliare in attesa di “tempi migliori per cercare lavoro”.
Per quanto ci riguarda, e parlo in quanto facente parte della nuova categoria dei “Neet”, l’unico slogan che continuo a ripetermi è: “Fai che il tuo desiderio di cambiamento sia più forte del tuo desiderio di rimanere uguale”.
Fatelo vostro, se volete. E che ognuno ritrovi i propri stimoli al cambiamento!
L’importante è averne, altrimenti sarete già morti dentro..










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